Coordinare il lavoro dei collaboratori, orientarli al raggiungimento degli standard richiesti dall’organizzazione, facilitare l’acquisizione di responsabilità e lo sviluppo di professionalità, richiede risorse ed abilità specifiche. Quest’articolo vuole essere un breve spunto per chi ha la responsabilità di gestire persone e desidera accrescere la propria autorevolezza ed efficacia, sviluppando in futuro le competenze base di coaching, da utilizzare come strumento di sviluppo della professionalità e della motivazione dei propri collaboratori.
Negli ultimi anni pubblicazioni, convegni, convention aziendali hanno sottolineato in misura crescente la “centralità delle risorse umane”, l’importanza del capitale intellettuale costituito dalle persone che lavorano nelle organizzazioni e quindi la leadership come strumento di governo di questo capitale. Spesso tuttavia, salva la buona fede di chi sostiene queste tesi, abbiamo provato la sensazione di ascoltare parole di retorica. Per cominciare, proviamo a domandarci se la tanto conclamata centralità delle risorse umane sia solo uno slogan, oppure un tentativo di manipolare i collaboratori o, infine, semplicemente una realtà.
La risposta dipende senz’altro dal contesto competitivo e organizzativo:
Più in dettaglio per rispondere alla domanda: “retorica o realtà?” possiamo osservare il contributo richiesto alle persone indipendentemente dal livello gerarchico in termini di qualità del lavoro, di proattività e di responsabilità per raggiungere gli obiettivi dell’organizzazione:
Noi oggi in quale contesto viviamo? Quattro fenomeni influenzano l’azione manageriale d’impresa.
Il manager consapevole dello scenario competitivo nel quale operiamo considera essenziali la leadership e il coinvolgimento delle persone nel miglioramento continuo e nell’innovazione.
L’effetto combinato dei quattro fenomeni tipici del contesto di mercato nel quale operiamo produce infatti conseguenze dirompenti nella cultura delle organizzazioni e dei singoli. Soffermiamoci innanzitutto sulle seguenti:
Le conseguenze di queste mutazioni sono di due tipi.
Le condizioni perché una squadra funzioni sono:
Affinché vi sia Coinvolgimento occorre che gli individui che compongono un’organizzazione conoscano non solo i propri compiti e i propri obiettivi specifici, ma anche e soprattutto che cosa l’organizzazione vuole conseguire, perché e come. Al contrario, in molte organizzazioni sembra esservi una vera e propria ossessione per la segretezza: i business plan sono noti a pochi; le circolari di politica del personale hanno circolazione inutilmente “limitata”; i margini resi dai prodotti sono sconosciuti ai venditori. Queste pratiche diffuse sono frutto della vecchia logica “informazione = potere” oppure della sfiducia: non ho fiducia che il venditore, per esempio, attui la sconto “giusto”. In ogni caso i segreti impediscono alla squadra di essere tale e riducono la leadership del manager delle organizzazioni di oggi. Affinché vi sia Condivisione occorre che gli individui che compongono un’organizzazione condividano, appunto, i vantaggi derivanti dal conseguimento dei risultati da parte dell’impresa, ovvero ritengano di poter trarre un vantaggio individuale (materiale e/o immateriale) dal raggiungimento degli obiettivi comuni. Affinché vi sia Fiducia occorre che gli individui di un’organizzazione confidino che gli altri membri dell’organizzazione (tutti o per lo meno la maggior parte):
Affinché vi sia Responsabilità occorre che gli individui che compongono un’organizzazione:
Se queste sono le condizioni di funzionamento di una squadra, allora il leader dovrà:
Questi atteggiamenti trasformano il manager in un leader d’impresa e permettono all’impresa di costruire una leadership collettiva.
Rispetto al concetto di “responsabilità”, l’idea di una leadership individuale è fortemente limitata: la responsabilità in realtà non si può trasferire, si può solo assumere.
La responsabilità, infatti, ha a che fare anche e soprattutto con l’atteggiamento delle persone verso la propria vita personale e professionale: esse si focalizzano sui limiti posti dalle situazioni in cui vivono oppure sulla propria risposta verso tali limiti?
Il manager può trasferire le deleghe e i poteri, rassicurare il collaboratore, supportarlo sul piano delle conoscenze e degli atteggiamenti e tuttavia le persone “abituate a vedere il limite” difficilmente sentiranno il potere di influenzare i processi organizzativi e quindi raggiungeranno gli obiettivi: esse vedranno sempre che qualcosa “ha remato contro”.
In questo senso si sottolinea che il manager-leader deve quindi imparare a educare alla responsabilità: solo in questo modo i collaboratori parteciperanno alla costruzione di un leadership collettiva.
Nel romanzo “Gambetto Turco” di B. Akunin (professore e romanziere russo contemporaneo), il balbettante consigliere di corte Erast Fandorin risponde così alla giovane anarchica Varvara Andreevna che afferma la necessità di “distruggere uno stato ingiusto e al suo posto costruirne un altro”: “Purtroppo, Varvara Andreevna, uno stato non è una casa, ma piuttosto un albero. Non viene costruito, ma cresce da sé, assoggettato alle leggi della natura, ed è una cosa lunga. Non ci vuole il muratore, ma il giardiniere.”
Sostituiamo alla parola “stato” la parola “organizzazione” (azienda, ente, ufficio) e la frase rimane perfetta: per essere leader e governare un sistema sociale complesso è meglio possedere l’intelligenza del giardiniere. I manager “muratori”, che ritengono di gestire una organizzazione come se fosse la composizione di mattoni inanimati, danneggiano le imprese.
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