Sviluppo della Professionalità dei propri Collaboratori

Coordinare il lavoro dei collaboratori, orientarli al raggiungimento degli standard richiesti dall’organizzazione, facilitare l’acquisizione di responsabilità e lo sviluppo di professionalità, richiede risorse ed abilità specifiche. Quest’articolo vuole essere un breve spunto per chi ha la responsabilità di gestire persone e desidera accrescere la propria autorevolezza ed efficacia, sviluppando in futuro le competenze base di coaching, da utilizzare come strumento di sviluppo della professionalità e della motivazione dei propri collaboratori.

Negli ultimi anni pubblicazioni, convegni, convention aziendali hanno sottolineato in misura crescente la “centralità delle risorse umane”, l’importanza del capitale intellettuale costituito dalle persone che lavorano nelle organizzazioni e quindi la leadership come strumento di governo di questo capitale. Spesso tuttavia, salva la buona fede di chi sostiene queste tesi, abbiamo provato la sensazione di ascoltare parole di retorica. Per cominciare, proviamo a domandarci se la tanto conclamata centralità delle risorse umane sia solo uno slogan, oppure un tentativo di manipolare i collaboratori o, infine, semplicemente una realtà.

La risposta dipende senz’altro dal contesto competitivo e organizzativo:

  • se il contesto è caratterizzato da una bassa competizione e i collaboratori sono meri esecutori, facilmente sostituibili, è reale il rischio che la “centralità delle risorse umane” sia un espediente retorico;
  • se il contesto di mercato è molto competitivo e i collaboratori, pur essendo meri esecutori, rappresentano manodopera qualificata, sostituibile con difficoltà e costi elevati, ci troviamo spesso di fronte a un tentativo di manipolazione che sfrutta il desiderio umano di riconoscimento e gratificazione;
  • se il contesto è molto competitivo e i dipendenti/collaboratori sono protagonisti, produttori di idee e soluzioni, gestori di relazioni importanti, insomma rappresentano davvero un capitale intellettuale difficilmente sostituibile, la “centralità delle risorse umane” è autentica e reale.

Più in dettaglio per rispondere alla domanda: “retorica o realtà?” possiamo osservare il contributo richiesto alle persone indipendentemente dal livello gerarchico in termini di qualità del lavoro, di proattività e di responsabilità per raggiungere gli obiettivi dell’organizzazione:

  • se il contributo richiesto è basso sul piano della qualità e non sono necessarie proattività o responsabilità (perché in realtà è il superiore che stabilisce che cosa fare, con quali modalità, in che tempi e il dipendente/collaboratore è semplicemente una “protesi umana” del volere superiore), la “centralità delle risorse umane” è pura retorica;
  • se il contributo qualitativo richiesto è medio/alto per quanto concerne l’esecuzione, mentre resta scarsa o nulla la richiesta di proattività e responsabilità (perché in realtà è il superiore che stabilisce che cosa fare, con quali modalità, in che tempi e il dipendente/collaboratore è semplicemente un migliore o peggiore esecutore del volere superiore), i tentativi di mettere al centro le persone sono spesso “manipolatori”;
  • se la qualità, la proattività e le responsabilità richieste sono elevate perché l’organizzazione può avere successo solo a patto di produrre continuamente idee, innovazioni, soluzioni, la centralità delle persone corrisponde a verità.

Noi oggi in quale contesto viviamo? Quattro fenomeni influenzano l’azione manageriale d’impresa.

  • Innovazione tecnologica: la velocità del cambiamento rende tutto istantaneamente vecchio. Infatti l’innovazione accelerata è oggi il normale contesto di azione del management. Non faremo in tempo ad avere esperienza completa delle potenzialità delle reti digitali che già vivremo gli effetti dei progressi di nanotecnologie, biotecnologie, scienze cognitive, genetica e robotica. Morale: o le organizzazioni sanno sfruttare continuamente il vento dell’innovazione oppure soccombono di fronte ai cambiamenti del contesto in cui operano, come le specie viventi di fronte alle mutazioni ambientali.
  • Globalizzazione: è il fenomeno economico e sociale che consiste nella crescita progressiva delle relazioni e degli scambi a livello mondiale. Dal punto di vista economico, la globalizzazione corrisponde all’ampliamento della dimensione del mercato, fino a raggiungere per molti beni e servizi l’intero pianeta. Il management non può confrontarsi solo con le aziende vicine e con il proprio mercato. Gioca in campo aperto, in un contesto dove molti competono per le risorse, per gli investimenti, per la conquista di spazi. Un’invenzione portata a termine in un sottoscala di una città di provincia di un paese a noi sconosciuto si diffonde nel pianeta in tempi sempre più ridotti.
  • Iperscelta: il cliente oggi ha la possibilità di scegliere tra un numero enorme di fornitori e prodotti. In questo contesto, il cliente diventa esigente, sperimentatore, infedele e risulta quindi sempre più difficile attirare la sua attenzione: è un re annoiato, viziato e perennemente insoddisfatto.
  • Saturazione dei mercati: l’offerta supera la domanda. È il fornitore ad avere bisogno del cliente e non viceversa. In alcuni ambiti, il passaggio da un mercato vergine a un ambiente ipercompetitivo è stato assai rapido. Pensiamo, ad esempio, al caso della telefonia cellulare: nel giro di pochi anni, un bacino di potenziali clienti che a stento conoscevano il telefono cellulare si è trasformato in un mercato saturo. Se questo è il contesto nel quale viviamo e, quindi, il fabbisogno di innovazione, proattività, qualità e responsabilità è elevato nelle organizzazioni, le cosiddette “risorse umane” (meglio parlare di persone) risultano veramente centrali. E centrale diventa la questione della leadership. I discorsi sulla leadership e sulla gestione delle persone risultano quindi retorici ai manager che non hanno compreso l’esigenza di innovazione e di partecipazione delle persone al miglioramento continuo dei prodotti e dei servizi.

Il manager consapevole dello scenario competitivo nel quale operiamo considera essenziali la leadership e il coinvolgimento delle persone nel miglioramento continuo e nell’innovazione.

L’effetto combinato dei quattro fenomeni tipici del contesto di mercato nel quale operiamo produce infatti conseguenze dirompenti nella cultura delle organizzazioni e dei singoli. Soffermiamoci innanzitutto sulle seguenti:

  • il ciclo di vita di prodotti, equilibri organizzativi e competenze è sempre più breve;
  • l’aumento delle variabili in gioco e soprattutto il moltiplicarsi delle inter-azioni e retro-azioni rendono difficile prevedere il futuro, e su questa base attuare scelte strategiche centrate: usando una metafora possiamo dire che le previsioni economiche-aziendali assomigliano sempre di più alle previsioni del tempo, ovvero oltre il breve periodo risultano inaffidabili.

Le conseguenze di queste mutazioni sono di due tipi.

  • L’intelligenza del “superiore” in azienda non è più sufficiente: quanti capolavori hanno in serbo i geni in un’intera vita? Uno? Due? Quante teorie rivoluzionarie hanno prodotto Newton o Einstein nella loro vita? E quante scoperte decisive hanno prodotto Pasteur o Fleming nella loro intera vita? E quindi che cosa ci fa pensare che un imprenditore geniale, un manager sagace, un capo eccezionale possano produrre un numero talmente elevato di geniali idee di business, strategie innovative, scelte organizzative, da consentire a un’azienda di procedere a tutti quei cambiamenti cui siamo obbligati nell’era in cui viviamo?
  • E, in generale, quante soluzioni “giuste” possono avere in serbo singoli uomini – anche se particolarmente intelligenti – nella loro intera vita? L’era della complessità ci costringe ad apprendere “il gioco di squadra”: puntiamo alla produzione di un’intelligenza collettiva superiore alla somma delle intelligenze individuali.

Le condizioni perché una squadra funzioni sono:

  • Coinvolgimento;
  • Condivisione;
  • Fiducia;
  • Responsabilità.

Affinché vi sia Coinvolgimento occorre che gli individui che compongono un’organizzazione conoscano non solo i propri compiti e i propri obiettivi specifici, ma anche e soprattutto che cosa l’organizzazione vuole conseguire, perché e come. Al contrario, in molte organizzazioni sembra esservi una vera e propria ossessione per la segretezza: i business plan sono noti a pochi; le circolari di politica del personale hanno circolazione inutilmente “limitata”; i margini resi dai prodotti sono sconosciuti ai venditori. Queste pratiche diffuse sono frutto della vecchia logica “informazione = potere” oppure della sfiducia: non ho fiducia che il venditore, per esempio, attui la sconto “giusto”. In ogni caso i segreti impediscono alla squadra di essere tale e riducono la leadership del manager delle organizzazioni di oggi. Affinché vi sia Condivisione occorre che gli individui che compongono un’organizzazione condividano, appunto, i vantaggi derivanti dal conseguimento dei risultati da parte dell’impresa, ovvero ritengano di poter trarre un vantaggio individuale (materiale e/o immateriale) dal raggiungimento degli obiettivi comuni. Affinché vi sia Fiducia occorre che gli individui di un’organizzazione confidino che gli altri membri dell’organizzazione (tutti o per lo meno la maggior parte):

  • abbiano le competenze richieste per svolgere il loro compito;
  • condividano lo scopo comune;
  • abbiano la volontà di contribuire alla realizzazione degli obiettivi comuni.

Affinché vi sia Responsabilità occorre che gli individui che compongono un’organizzazione:

  • da un lato abbiano oggettivamente un certo potere di influenzare il “modo” di raggiungere gli obiettivi aziendali;
  • dall’altro ritengano soggettivamente di avere il potere di influenzare il “modo” di raggiungere gli obiettivi.

Se queste sono le condizioni di funzionamento di una squadra, allora il leader dovrà:

  • coinvolgere, cioè formare le persone a svolgere il loro lavoro e nello stesso tempo comunicare affinché comprendano il senso e le logiche del “gioco” comune;
  • far condividere: costruire quindi meccanismi premianti tangibili e intangibili tesi a far convergere gli obiettivi degli individui verso quelli dell’organizzazione;
  • generare fiducia: esprimere una riconosciuta onestà intellettuale, la capacità di comunicare, l’ascolto continuo, continui contatti con e fra le persone;
  • generare responsabilità: praticare l’esercizio della delega, attraverso la formazione e soprattutto “educando alla responsabilità”.

Questi atteggiamenti trasformano il manager in un leader d’impresa e permettono all’impresa di costruire una leadership collettiva.

Rispetto al concetto di “responsabilità”, l’idea di una leadership individuale è fortemente limitata: la responsabilità in realtà non si può trasferire, si può solo assumere
La responsabilità, infatti, ha a che fare anche e soprattutto con l’atteggiamento delle persone verso la propria vita personale e professionale: esse si focalizzano sui limiti posti dalle situazioni in cui vivono oppure sulla propria risposta verso tali limiti? 
Il manager può trasferire le deleghe e i poteri, rassicurare il collaboratore, supportarlo sul piano delle conoscenze e degli atteggiamenti e tuttavia le persone “abituate a vedere il limite” difficilmente sentiranno il potere di influenzare i processi organizzativi e quindi raggiungeranno gli obiettivi: esse vedranno sempre che qualcosa “ha remato contro”. 
In questo senso si sottolinea che il manager-leader deve quindi imparare a educare alla responsabilità: solo in questo modo i collaboratori parteciperanno alla costruzione di un leadership collettiva.

Nel romanzo “Gambetto Turco” di B. Akunin (professore e romanziere russo contemporaneo), il balbettante consigliere di corte Erast Fandorin risponde così alla giovane anarchica Varvara Andreevna che afferma la necessità di “distruggere uno stato ingiusto e al suo posto costruirne un altro”: “Purtroppo, Varvara Andreevna, uno stato non è una casa, ma piuttosto un albero. Non viene costruito, ma cresce da sé, assoggettato alle leggi della natura, ed è una cosa lunga. Non ci vuole il muratore, ma il giardiniere.”

Sostituiamo alla parola “stato” la parola “organizzazione” (azienda, ente, ufficio) e la frase rimane perfetta: per essere leader e governare un sistema sociale complesso è meglio possedere l’intelligenza del giardiniere. I manager “muratori”, che ritengono di gestire una organizzazione come se fosse la composizione di mattoni inanimati, danneggiano le imprese.

Studio Martello Fioretti
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